Questa è la tua vita e sta finendo un minuto alla volta @ 5 March 2008 01:52 PM
È la questione su cui mi arrovello da un po’. Ecco la mia visione dei fatti.
Siamo uomini del nostro tempo, apparteniamo ad esso. Il nostro stile di vita è condizionato dalla società a cui apparteniamo, la stessa morale è figlia di questo tempo e finanche i nostri gusti. Quindi non abbiamo autonomia, che è uno dei requisiti di cui sopra.
Pensavate fino ad ora di essere originali? Vi sbagliavate, perché siete il prodotto della società a cui siete assimilati.

Non è disarmante sapere che i propri gusti, i canoni di bellezza estetica che sentiamo appartenerci, anche i nostri desideri non ci appartengono fino in fondo? Una semplice prova: cento anni fa l’ideale di bellezza femminile e maschile erano totalmente differenti da quelli odierni. Eppure l’uomo e la donna di oggi hanno la stessa composizione fisiologica e spirituale di un tempo.

La libertà è l’illusione che cela le sbarre. Non siamo liberi di scegliere chi diventare. Qualcuno dirà: “Ma come? Certo che sono libero di essere chi voglio. Io SONO ciò che voglio”.
Risposta sbagliata, per molti…troppi. Il prototipo della nostra società è presto detto: segue l’istruzione convenzionale fino alle superiori, poi si iscrive all’università (è indegno se non lo fa) e si laurea. A questo punto fa meglio a trovarsi un partner. Si fidanza. Prima di sposarsi occorre trovare un lavoro. Non importa se farà quello che odia o se svolgerà mansioni che trivellano il cervello. Deve lavorare. A questo punto, sì, può sposarsi. E iniziare la sua vita da marito (o moglie) modello, rispettabile e onorato. Gli è concesso avere scappatelle, piccole crisi, purché tutto rientri nei ranghi alla fine. Aggiungere sale quanto basta e lasciar scaldare per qualche minuto. Servire caldo.
Potete affermare che questa che avete appena letto è una semplificazione bella e buona. Forse. Ma provate ad immaginare di saltare alcuni degli ingrediente della suddetta ricetta. E non temporaneamente, ma DEFINITIVAMENTE. Sentirete qualcosa di “scomodo”, e sarete osservati come se aveste indossato la vostra giacca all’incontrario.

Voglio contestare le mie stesse idee. Alcuni aspetti ci possono essere imposti, ma abbiamo una fetta della nostra vita da dedicare a passatempi, passioni, attività che ci piacciono.
Bene, allora proviamo a coltivare un hobby. Cosa fare? Certo che si ha un’ampia scelta! Optiamo per quello che ci caratterizza di più come persona. Già, ma cosa? Quello che VOGLIO fare, è naturale… Ma il “volere” è un atto nostro? Abbiamo noi la paternità di questo gesto? O forse, anche la volontà ci è imposta? Preferiamo fare quello che agli occhi degli altri appare più interessante, più attraente, più moralmente accettabile? Scegliamo l’attività da svolgere in modo che gli altri ci osservino e ci dicano: “Guarda, fa triathlon! Deve essere proprio un figo!”. Oppure: “Quel tizio fa volontariato! Che persona speciale e generosa deve essere!”. “Sta seguendo un corso d’inglese. Oggigiorno non sei nessuno se non impari l’inglese”. O ancora: “Il giovanotto è impegnato politicamente. È davvero una persona matura!”.

Non riesco a staccarmi dalla testa che è il giudizio degli altri su di noi che determina la maggior parte delle nostre azioni e del vivere quotidiano.
Ci vestiamo. In epoche primitive, l’indumento era funzionale. E ora? Scegliamo l’abbigliamento allo scopo di piacerci. Si, come no... Affinché siamo gradevoli agli altri, siamo onesti! “Quella giacca mi sta proprio bene” andrebbe tradotta come “Quella giacca farebbe pensare agli altri che sono un figo”. Ma anche quando non si seguano le mode, siamo costretti ad acquistare i capi che altri scelgono per noi, perché il mercato ci concede solo quello. Sono i prodotti che la televisione pubblicizza, che vediamo indosso ai personaggi famosi, alla gente che ai nostri occhi ha carisma. I prodotti della società del consumismo ci attirano. E dov’è la scelta libera in tutto il processo?

Delle due l’una: o sono ossessionato da questa idea oppure il nostro vivere è una prigione, un affanno alla ricerca continua dell’appagamento dei gusti e delle aspettative altrui.
Vedo troppa uniformità in giro. Luoghi con la divisa. Locali ricercati dove se non ti vesti ricercato a tua volta rischi di essere additato come un povero diavolo. Ambienti “alternativi” dove devi essere alternativo. E così siamo tutti alternativi e perciò non lo è nessuno.
Reciti un film in cui la tua parte rimane sempre la stessa. Ci si aspetta che declami quelle battute e che giri le solite scene.

Invece vorrei essere libero di cambiare il mio copione ogni volta che desidero... Ma non lo faccio, forse, perché voglio essere accettato.
È più facile seguire la corrente piuttosto che risalire il corso del fiume senza ausili. E così, come me, assecondiamo tutti questa società, le convenzioni, i suoi obblighi, l’uniformità che ci impone pur di non restare soli e offesi col mondo.
Se la mia tesi fosse corretta, saremmo quindi prigionieri della società.
Viene meno anche il secondo presupposto della definizione data all’inizio. Non siamo autonomi, siamo prigionieri. Ne consegue che non siamo liberi.
Se non siamo liberi, siamo schiavi.
Ad un certo punto della vita perdiamo il volante e inneschiamo il pilota automatico… O forse scopriamo che era sempre stato attivo.

Ho aperto questa breve disquisizione delle mie inutili – e puerili – convinzioni filosofiche con una domanda, e termino con un altro interrogativo.
Sto cercando di trovarvi una risposta, che mi aiuti forse ad uscire da questo torpore.Se foste in prigione sapendo di essere perfettamente innocenti e di subire la più ingiusta delle iniquità, cosa fareste?
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