SOGNI AL ROTOSCOPIO E CAPELLI ROSSOTINTI @ 5 March 2008 11:27 PM
Fatto sta che, dopo questa lunghissima notte di parole e baci, abbiamo preso assieme la sana decisione di addormentarci uno accanto all'altra. E lì avvenne quel sogno stranissimo. Tutto era pieno di cromie. Cromie più forti del normale. Bellissimo. Ogni luce era colore ed ogni colore era lampo. Deciso. Drogato. Allucinato. Stavo con G.W.G. e ci stavamo salutando, ma, senza alcun motivo a me ben chiaro, eravamo, due minuti dopo, lì, a litigare furiosamente. A me venne da piangere. Stavo male. Ero triste e delusa. Mi allontanai incazzata verso la stazione. Rimasi lì ad attendere e poco dopo ecco il treno. Questo apparve come un enorme autobus arancione, ove dentro tutti fumavano. Più meno. Più o meno, perchè non è che tutti fumassero, bensì stavano ad aspirare avidamente sigarette le persone che meno ti aspetteresti di veder fumare: vecchi, vecchie, donne incinta, ragazze in salute, bambini e bambine. Io non fumavo. Accanto a me, era rannicchiato un piccolo uomo grassoccio, con il viso buono. Aveva delle belle basette nere folte e lunghe e dei capelli riccioli. Grosse sopracciglia scure ed una giacca grigrio fumo. La sua cravatta era verde. Mi cinse il fianco destro con una mano morbida e senza secondi fini. Mi attrasse a sè quel che bastò per chiedermi se potevo rollargli una sigaretta di tabacco. Ed io dissi di sì, che non v'erano problemi. Dentro mi sentivo ansiosa perchè avevo paura di sbagliare fermata, di non scendere vicina a casa. La mia fermata era vicina a Como ed io Como l'avevo appena passata. Appena mi parve di aver raggiunto la mia fermata, scesi, dimenticandomi della richiesta del piccolo uomo con le basette lunghe. Mi guardai attorno. Stavo per mettermi a piangere. Ero spaesata. Ero a Firenze. Ma non era davvero Firenze. Cioè...nel sogno lo era, ma non la rappresentava realmente. Era qualcos'altro. Un piccolo borgo a mattoni rossastri. Mi trovai improvvisamente, come una foglia caduca dell’autunno, al centro del piccolo borgo. Voci, persone di ogni razza, bancarelle ed una piccola ragazza. Questa avrà avuto dodici anni, non di più, non di meno. Bella e luminosa. Aveva i capelli castani lunghi e sciolti ed una pelle d’avorio. Stava in piedi, accanto ad una galleria nera come la pece, ove tutti i mezzi pubblici passavano. Non auto. Non camion. Nemmeno motorini. Solo autobus, treni veloci, metrò spaventosi e tram giallo aranciato. E lei era lì. Mi avvicinai. Volevo domandarle quale treno dovessi prendere per avvicinarmi almeno a Milano. Le chiesi dove si prendeva questo treno. Lei me lo disse, ma nel frattempo i nostri sguardi si incrociarono. I nostri odori. La desideravo. Volevo farci l’amore. Volevo baciarla sulle giovani labbra. Lei mi prese di nascosto la mano. Aveva la mano madida di sudore. Sentivo le vibrazioni sulla sua pelle, contro le mie. Aveva voglia di me. Mi cinse con la stessa mano sudata, tutto il fianco destro, racchiudendomi la vita a 360 gradi. Era un tocco morbido, ma carico di carnalità. Vidi suo padre. Una testa grossa e lunga. Un uomo con un po’ di barba incolta ed un viso sorridente. Si fidava di me. Glielo leggevo in faccia. Non potevo fargli ciò. Mi sentii strana e decisi di tornare a casa. Ciao, piccola lolita. Mi sentivo sporca dentro. Mi guardai le scarpe. Portavo degli anfibi in finta pelle, lunghi, neri, mi arrivavano alle ginocchia. I piedi mi dolevano, perché le punte delle scarpe erano rivolte all’esterno. Erano sporche. Me le tolsi con cura e con la stessa cura li posai in mezzo alla piazza. Mi voltai e mi misi a massaggiare i piedi indolenziti. Erano umidi. Appena mi voltai per recuperare gli stivali, mi resi conto che l’anfibio destro mi era stato rubato. Mi arrabbiai profondamente. Ma presto mi ripresi, appena notai che proprio di fronte a me stava una bancarella di neri che vendevano scarpe ad un euro. L’unico paio che mi andava, dato il mio 42, erano delle pessime tennis grigio metallizzate con due strisce arcobalenate sui lati esterni. Le indossai, sconfitta. Ma almeno erano comodissime. Presi il treno che non era un treno, bensì lo stesso autobus di prima. E dentro v’erano gli stessi passeggeri. Tutti ancora fumavano. Mi sedetti sorridente, ma pensierosa. Chinai il mio sguardo verso sinistra. L’uomo paffuto con le basette stava ancora lì, rannicchiato. Rollai una sigaretta e gliela passai, come se tutto il tempo perso nella fantomatica Firenze, non ci fosse mai stato. Mi ringraziò cordialmente. Scesi alla mia fermata, sull’erba, vicino a casa mia. Anche se non era casa mia. Mi ritrovai dove tutto ebbe inizio con G.W.G.. Mi guardai le scarpe e ritornai verso casa. Un sogno davvero incredibile. Alla Waking Life. Ricche simbologie che non so spiegarmi. Ed i colori…così fluenti e fluidi. Veloci e psichedelici. E quelle scarpe… ci ho riflettuto. È tutta una questione di viaggio interiore, di mutamento. Per questo, quest’oggi, mi sono tinta i capelli di rosso. Come la Firenze nel sogno.
5mar08

News powered by CuteNews - http://cutephp.com