Sono l'oliva in fondo all'anfora @ 20 March 2008 08:24 PM
Sembra solo un lungo corridoio lungo, vacuo e silenzioso, da fantascienza, senza fine. I tuoi passi, nella Metro Gialla, rimbombano per tutto il corridoio. I rumori rimbalzano contro le pareti. Luce malsana. Tutto è zafferano marcio. Uova marce. In genere, ci ho sempre visto poche persone. Ma forse è solo perché non erano orari di punta. Chissà. Finalmente, l’Amico Brillante se ne è andato. È andato avanti con il suo spettacolino anche per troppo tempo. Spero che ora possa regnare il silenzio su questa carrozza. Sono uscita direttamente da lavoro ed eccomi qui. È comprensibile che desideri silenzio. Non ho acqua ed ho sete. Non ho cibo ed ho fame. Una fame annoiata. Poca aria alle fauci, gente, por favor. Le metropolitane milanesi sono tutte composte da un piano più elevato con edicola, bar, biglietterie automatiche e sbarre per il pagamento e l’accesso, frecce ovunque, scritte di vie, cartine di Milano e piante delle metropolitane. Ora hanno anche aggiunto la cosa peggiore di tutte: luminosi distributori di yogurt o latte fresco. Come se le vacche fossero distributori di benzina lattea o roba simile. Prima o poi dovrò agire in qualche modo, per infastidire i nuovi gioiellini milanesi. Sotto, invece, dopo una veloce discesa con delle scale mobili o normali, si trovano, generalmente, dei distributori di schifezze, acqua, bibite, caffè, the in polvere, latte in polvere, polvere, vita in polvere. A Bujak, il latte in polvere era buono. Ero ancora vegetariana, ai tempi. Lo bevevo e mi piaceva, ma forse perché era tutto quello che avevano, oltre al pane, alla birra, al riso ed al burro. Un burro giallo, grasso, che spalmavo su fette di pane rustico, che mi preoccupavo di accompagnare a molte bottiglie di birra scura. È buona la birra in Ungheria. E costa come un caffè da noi. Anche le metro sono belle in Ungheria. Quelle di Budapest, intendo. Non ve n’è una uguale all’altra. Me ne ricordo una molto particolare. Era la più antica, se non erro. Era tutta in ceramica. Tante piastrelle bellissime, lucide, rosso ocra, bordeaux, bianche. Era come stare in un grande vaso e tu eri l’oliva in fondo all’anfora. A Barcellona, invece, avevo paura della metropolitana. Per arrivarci, dovevi prendere una di queste altissime scale mobili che non finivano mai. Avevano una pendenza fortissima. Quasi cadevo. Mi venivano delle leggere vertigini e sudavo. Bene. Che pace. Che bellezza. La carrozza si è tutta svuotata. Tutti sono scesi a Vigevano. Sono sola, con la porta aperta e la pipì nella pancia. Controllo che nessuno abbia scordato qualcosa sul treno. Non si sa mai. Ci spero sempre… No, non sono più sola. Sono saliti due giovani tunisini e si sono seduti in fondo. Avranno venti, ventuno anni circa. Forse qualcosina di più. C’è aperto un finestrino, che fa entrare il suono dell’aria che sferza contro il treno veloce. Anzi. Del treno veloce contro l’aria sferzante. Ed il rumore delle rotaie. Mi sembra di stare in una maracas piena di pasta secca.
1mar08

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