La scala del delirio @ 5 May 2008 09:20 PM
Sono lucidissimo, ascolto ogni piccola frequenza che il mio orecchio possa captare, sento del legno che scricchiola, percepisco dei piatti che si rompono, e perfino una porta e un cancello che simultaneamente sbattono e quel cigolio che sembra un grido di dolore mi lascia atterrito ma anche indifferente allo stesso tempo.
Sto mutando la lancia che mi trafigge e tormenta in uno scudo per difendermi. Ancora non sono convinto di farcela in questa metamorfosi ma sicuramente non ne rimarrò deluso dato che non ho più aspettative.
È tutto il giorno che i miei occhi non vedono che una luce artificiale molto paca, che mi riflette su un mondo fasullo. Le mie dita scorrono lentamente su questa fredda tavola di lettere per creare un elogio a questi eterni istanti che accompagnano il mio delirio che lentamente sta prendendo il sopravvento su di me. Probabilmente tra qualche ora inizierò a delirare dal dolore dei respiri e inizierò a piangere ad ogni minimo impulso mentale. Forse dovrei pensare a domani. Ma forse non lo voglio un domani. Non lo so. Sono smarrito e la vista comincia ad offuscarsi.
Ecco le prime lacrime subito uccise prima che si possano schiantare al suolo. Ancora un filo di combattività forse c’è. O è solo vergogna? Mi sento smarrito più di prima. Mi vengono in mente le carezze perdute, che non potrò mai più avere. Quegli abbracci sinceri e stretti che non mi apparterranno più. Un’altra amara goccia scivola. Mi sento soffocare e il respiro sempre più affannato non mi aiuta. Non mi sopporto in questo stato. Ancora più fragile di quando sono fragile. Mi odio. Amplifico le mie estenuanti paure e i miei incubi viscerali hanno il sopravvento. Ormai ci sono. Il delirio corre nel sangue come un ossesso e striscia nel mio animo distrutto come un serpente che pezzetto per pezzetto ne divora i resti.
Quella volta due stelle mi aiutarono ad uscirne. Con le loro premure.
Questa volta sono solo. Ho ricominciato tutto da capo. Ho perso le mie stelle. Ne rimpiango una più dell’altra per mio aspro egoismo.
Le lacrime invadono il mio viso. Sono più pesanti delle altre volte. Lasceranno sicuramente un solco che ogni volta che piangerò mi ricorderà perché ho pianto e perché sicuramente piangerò.
Sento tutto improvvisamente caldo e poi subito gelido. Placo la paura quando qualcuno o qualcosa mi distrae. Ho paura perché mi sento solo nonostante circondato da chiunque. Il respiro sibila, tutto trema. Sento che sto per impazzire. Impreco dio inesistente, onnipotente per chi ha le mani non impegnate per pregarlo, sono un concentrato di odio terrore e debolezza suddivisi equamente con la sfortuna che la debolezza e il terrore si coalizzano risultando più forti. Sembra una puntina di giradischi quella che continuo a udire, che sbatte su un disco muto senza fine. È il suono del vuoto? Posso identificarlo come colonna sonora della mia rovina? Continuo a pensare alla mia stella. Non c’è. Ne è rimasta solo l’impronta fonda nella mia gamba. Sgrano gli occhi per cercare di riprendere il controllo. Inutile sforzo. Tra poco in preda al panico inizierò a sudare nel mio velo viola e nero. Disperatamente speranzoso di una presenza che rimane il fantasma dei miei anni, disperato da una via d’uscita che non trovo per mia inettitudine forse o perché questa volta la via d’uscita non c’è.
L’endorfina è in circolo. Sorrido istericamente dal dolore.
Sto solo aspettando l’apice e so che non sorriderò nemmeno.
Non sorrido più da tanto. Ultimamente poi non ho espressioni.
Lo sconforto mi segue come un cane fedele tutto il giorno, la sera mi abbraccia prima di consumare quelle poche ore di sonno che mi separano dal rivederlo più acuto l’indomani. Non voglio il domani per questo.
Mi accompagna nel limbo degli incubi un suono di fisarmonica che come una sirena mi allerta e ricorda che il peggio sta per arrivare. È li. Manca poco. Sono terrorizzato.
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