SO SOLO TRE COSE @ 24 May 2008 02:49 PM
Ho paura, sono terrorizzato. Sto male, ma sento che non è un male fisico. E' qualcosa di più profondo, è sconforto. Un lieve senso disperazione che mi logora dentro. Preferirei un crampo ad un muscolo o un mal di denti che questa sensazione difficile da descrivere. E' come se mi avessero preso l'anima, portata a mille Chilometri di distanza e lasciata sola in mezzo al deserto. Lei là, io qua.Non riesco a capire come possa essere finito così. La mia memoria non va più indietro che di pochi istanti. Quello che vedo intorno a me, è si, il mio soggiorno, ma è come se ci fosse qualcosa di sbagliato. Come in quei giochi della settimana enigmistica dove bisogna trovare le differenze, cerco di capire cosa c'è che non va nel soggiorno che vedo ora. Sembra che manchi qualcosa, ma in realtà c'è tutto. Televisione, il grande quadro sulla parete, il divano, i vasi con i fiori secchi, tutto è al proprio posto. Poi i miei occhi cadono sul tavolinetto di cristallo in mezzo alla stanza. Sopra c'è una bottiglia d'acqua. Un' oasi in mezzo al deserto. Piccole gocce d'acqua scivolano dal collo verso il basso rigandone il vetro, dev' essere freschissima. La gola chiede e il braccio destro magicamente risponde. Riesco a prenderla. Non è un miraggio, è reale. Giusto il tempo di mandar giù il primo sorso e mi accorgo che acqua, in realtà, non è. E' vodka. Liscia. Cerco di staccarla dalla bocca, ma la gola chiede ancora e il braccio acconsente. Il sapore lo conosco bene.Non posso farci niente. Come in un film posso solo guardare inerme quello che succede. Sembra non sia io il protagonista delle mie azioni. Assisto. Osservo.Bere ha l'effetto di quegli spray che si usano per sbloccare bulloni arrugginiti. La trasparente bevanda russa ha risvegliato ogni mio muscolo. Mi alzo in piedi, ma subito capisco che qualcosa non va. Mi gira la testa. A malapena focalizzo la bottiglia che ho ancora in mano, è quasi finita. Sono ubriaco. Sento che sta per succedere qualcosa. Un secondo prima che il senso di colpa mi avvolga come una piovra, qualcosa dentro di me inizia a gridare. No. No. No. Nooooooooooooooooooooo!!!!!

Sono sempre nel soggiorno. E' notte. Lo capisco perchè ad illuminare la stanza c'è la luce del lampadario. Il tavolinetto di cristallo è sparso per quasi tutto il pavimento, sottoforma di piccoli frammenti di vetro. Non Ho più la bottiglia di vodka in mano. Non ricordo la scena, ma qualcosa mi dice che l'ho scagliata contro il fragile tavolino ormai in mille pezzi. A terra questa volta c'è Claudia, io sono in piedi. Lei e tutta rannicchiata in posizione fetale. Piange. Mi guarda con aria persa. Un rivolo di sangue fa capolino dal suo naso. Da dietro il divano spunta Ilaria. I suoi riccioli neri fanno da cornice al suo viso dolce. E così piccola, così innocente, così bella. Più diventa grande più somiglia a Claudia. Guarda sua madre e poi me. Nei suoi occhi intravedo mille punti interrogativi che subito che si sciolgono nelle lacrime che gli iniziano a rigare il viso. La sensazione di sconforto che provavo prima, ora è disperazione pura. Ho fallito. Ci sono ricascato. Per me non c'è soluzione. Non c'è terapia. Sento la porta alle mie spalle aprirsi, e poi non sento più niente. Tutto diventa muto e va a rallentatore. Una poliziotta si inginocchia davanti ad Ilaria e cerca di farla sorridere. Due infermieri caricano su una barella Claudia. Sento qualcuno che mette le mie braccia dietro le schiena e blocca le mie mani con due freddi braccialetti. Non faccio resistenza. Questa scena l'ho già vista, vissuta. Ne sono sicuro. Un dejà-vù? Forse, ma ormai poco importa. Poco prima di essere portato via, mi accorgo di cosa era che mancava nella stanza. E' strano che la mancanza di un particolare così minuscolo potesse farmi figurare la stanza in maniera diversa. Non era il quadro, ma qualcosa al suo interno che mancava. Nel grande quadro, appoggiato alla parete, ci sono dipinte due donne sedute una di fronte all'altra. Si guardano. Tra di loro c'è un tavolo con sopra due bicchieri e una bottiglia. No, la bottiglia non c'è più, perché me la sono scolata io. Ritorna il suono. Sento il telefono squillare. Nessuno risponde. Chiedo al poliziotto che mi tiene per un braccio di rispondere, ma sembra non capire. Nessuno si accorge del telefono. So di essere in arresto e che rispondere al telefono non è una priorità, ma non riesco a trattenermi. Mi divincolo dalla presa, incurante del fatto che una volta raggiunto il telefono, non potrò alzare la cornetta. Il trillo è sempre più forte e vicino. Ci sono quasi, ma inciampo e cado.

Sono sveglio, nel mio letto, completamente fradicio di sudore.Un attimo ancora di paura, d'incertezza. Poi capisco e sento il terrore sciogliersi. Grazie a Dio era un sogno, un cazzo di sogno, ma pur sempre un sogno. La realtà è il telefono che squilla ancora. La realtà è che a chiamarmi è Ilaria che mi dice di passarla a prendere alle sette. La realtà è che quando gli dico che ho fatto un brutto sogno, lei mi chiede che sogno ho fatto. La realtà è che quando gli dico che ho sognato il papà che ero un po' d'anni fa, lei mi risponde che allora solo un brutto sogno poteva essere. Il vero sogno è che è questa la realtà.

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