Agnello del caso @ 18 September 2008 07:04 PM

1

Guardò la lingua che puliva l’ultima traccia di sperma presente sulle labbra.
- Quanto ti devo?
- Te l’ho già detto prima, no?
- Ma è durato meno di una scoreggia di una pulce!
- Non è colpa mia se hai un uccello più veloce di uno struzzo che si tira di coca, bello!
- Fanculo, ti ho portato a casa mia. Questo mi varrà uno sconticino!
- Se ti lamenti ancora ti metto in conto il costo del vaccino che dovrò farmi appena esco da qua!
- Dove cazzo sono andate a finire le buone maniere con i clienti?
- Le buone maniere le ho perse con la verginità, e a quel tempo il tuo uccellino non produceva neanche la schiumetta.
In effetti, poteva esser vero, a occhio e croce la puttana aveva almeno una ventina d’anni più di lui.
Raccolse i pantaloni, sfilò dalle tasche i soldi e li porse alla donna. Lei li contò e li mise in una borsetta di vernice rossa.
- Non mi vedrai mai più, bella.
- Sai che danno – disse lei e andò via sbattendo la porta.

2

Amava cagare quasi quanto amava leggere la Bibbia. Per questo quando era sul cesso e leggeva le Sacre Scritture si sentiva a suo agio, come la cannuccia di un clistere in un deretano.
Leggere la Bibbia era un atto necessario, soprattutto dopo aver trombato con una puttana. Scoparsi una bagascia non era peccato. Gesù stesso se la spassava con la Maddalena, ma la loro era una coppia fissa, mentre lui saltava di troia in troia. E questo era peccato.
Dopo essersi mondato lo spirito con la lettura, passò a lavarsi il culo.
Raccattò gli slip, contò le macchie e le giudicò insufficienti per etichettare come sporche le mutande.
Aprì il cassetto e tirò fuori la Bibbia. Ne aveva una in ogni stanza e finché aveva avuto un’auto ne conservava sempre una nel portaoggetti. Cazzo, quale libro meglio della Bibbia può indicarti la via?
Sfogliò e arrivò al punto in cui aveva lasciato il segnalibro, che immediatamente accese e si portò alla bocca. Adorava fumarsi uno spinello mentre leggeva la Parola del Signore. Certo preferiva cacare e leggere. Si era ripromesso anche di cacare, leggere e fumarsi uno spinello contemporaneamente. Ma quando ti viene da fare quella grossa, non stai mica lì a pensare che devi prenderti una canna.
Proprio mentre leggeva di Dalila e Sansone sentì il citofono trillare.
Si trascinò controvoglia alla cornetta.
- Chi è?
- Siamo della società del gas, dobbiamo controllare il contatore.
Spinse il bottone e corse a nascondere le prove di quello che stava facendo sino a qualche momento prima.
Sentì il campanello suonare e spalancò la porta.
- Oh, merda! – fu l’unica cosa che riuscì a dire prima che il mondo sparisse alla sua vista.


3

Fu quello basso a parlare per primo. Quello con i baffi neri e cespugliosi. – Sai perché sei qui?
Si guardo intorno. La stanza era bianca, piccola e con un tavolo al centro. C’erano anche due sedie, una per lui e l’altra per quello pelato con la benda all’occhio.
- Avete ritrovato la mia macchina?
- Esatto – fu quello con la benda a rispondere.
- Beh, non c’era bisogno di venire a casa a prendermi. Bastava una telefonata e venivo io a riprendermela qui in commissariato.
Quello con i baffi si voltò. Aveva il culo più largo delle spalle. Sembrava una piramide con braccia, gambe e una merda di capra per testa.
- Abbiamo trovato questo nell’auto – con un gioco da prestidigitatore fece comparire dal nulla un libro. Riconobbe subito la sua copia della Bibbia.
- Non è roba mia, lo giuro. Deve averla dimenticata il ladro.
- E ha dimenticato anche queste? – fu il bendato a far comparire dal nulla le copie delle Sacre Scritture che conservava in bagno e nel comodino.
- Da quando è illegale possedere un libro? – disse a voce alta cercando di ostentare sicurezza.
- Dal 2117 – disse Benda.
- Dal 5 maggio 2117 – precisò Culone.
- Un attimo, sono bandite le opere di fantasia…
- E i testi sacri lo sono – disse Benda
- Ma non lo sapevo mica! Se prendo quel bastardo che mi ha venduto questi libri spacciandomeli per manuali per la preparazione dell’oppio…
Benda si sfilò il quadratino nero e rimase a fissarlo con la cavità scura. – Pezzo di merda, lo vedi questo buco?
- Lo vedo sì il buco, con creanza parlando.
- Bene, me lo sono fatto da me.
- Bel lavoro, complimenti! Non è rimasto nulla! Come si suol dire, chi fa da sé…
La mano di Baffone planò sulle sue labbra con l’avidità di una mosca su una carogna.
- Sai perché l’ho fatto?
- Per rendere meno simmetrico il viso? Bastava cambiare taglio di capel…
Altro colpo di Baffone.
- L’ho fatto perché una volta quest’occhio s’è posato su un libro. Eravamo nel pieno di un’azione di sgombero di un centro raccolta testi fantastici, quando il mio sguardo si è posato su un volume. La copertina blu era lucida e il mio occhio l’aveva fissata. Ero lì immobile, se non fosse stato per lui, magari l’avrei anche sfogliato!
Baffone prese la parola – Dovetti colpirlo con queste mani per farlo tornare in sé e portarlo via.
- Non ti ci vedo a colpire la gente, fratello – aspettò l’ennesimo schiaffo ma questa volta non arrivò.
- Il Prigioniero Di Zenda, questo era il titolo. Lo accesi e me lo portati all’occhio…
- Io l’aiutai – aggiunse baffone.
- Come? Scoreggiandogli in faccia per ravvivare la fiamma?
Il dolore questa volta fu avvertito dalle palle. Evidentemente Benda portava scarpe con punta d’acciaio.
- Sentite, io ho letto il titolo del libro, ma non sapevo di che cosa parlasse. Figuriamoci, il tipo che me li ha venduti me ne ha dati tre, che me ne facevo di tre opere di fantasia identiche?
- Mentre di tre manuali sulla lavorazione dell’oppio?
- Beh, uno l’avrei tenuto per me, due li avrei regalati ai miei due nipotini. Hanno appena iniziato a crescere le loro due prime pianticelle…
- Non cercare di commuoverci parlandoci di bambini e oppio – disse Benda.
- Non riuscirai a far leva sui nostri sentimenti – confermò Baffo.
- In ogni modo lasciai la mia copia in macchina e portai i due volumi a casa. Avevo intenzione di comprare della carta regalo…

4

L’uomo che gli stava di fronte lo guardava passandosi una sigaretta spenta da un orecchio all’altro.
- Se usi la bocca invece delle orecchie, mi sa che la fumi più facilmente.
- Ci penserò. Perché sei qui?
- Mi hanno beccato con dei libri.
- Opere di fantasia?
- Bibbia.
- Che roba è?
- Parla di un essere chiamato Dio, che prima si diverte a creare l’uomo, poi, per far divertire anche lui, crea la donna. Va tutto bene, i due hanno da mangiare in abbondanza e quando non dormono scopano e Dio probabilmente guarda. Dio disse loro “Potete fare tutto quello che volete, ma se mangiate una mela, beh sono cazzi per voi”.
- Perché proprio una mela?
- Credo che avrebbe potuto scegliere anche una banana, la cosa non avrebbe fatto differenza. Il fatto è che Dio voleva far capire che loro potevano credersi liberi, ma alla fine era lui che comandava.
- Ci sta.
- Ci sta, sì. Per farla breve la donna convince l’uomo a mangiare la mela su consiglio di un serpente.
- Mai fidarsi di una donna.
- Dio s’incazza e caccia via i due da quel posto e contento dice: “Mo so cazzi vostri”.
- Per una mela?
- La mela è un simbolo… Resta il fatto che l’uomo da quel giorno è stato costretto a lavorare per mangiare, lei ha messo su la cellulite, ha iniziato a lamentarsi di ogni cosa e aveva sempre il mal di testa quando c’era da scopare. E come se non bastasse è rimasta pure incinta!
- L’avrà fatto apposta. Lo fanno tutte per farsi mantenere. Lui lavora e lei sta a casa a guardare la Tv.
- Beh, come se non bastasse nascono due figli…
In quel momento le sbarre si aprirono.
- Che succede?
- E’ arrivato il momento di lavarti, piccolo.

5

Cercò di lavarsi senza guardare a mezza altezza. Non voleva passare per frocio il primo giorno di carcere, era importante fare buona impressione.
Sentì prima un rumore e poi una voce. – Raccogli il sapone.
Gli sembrò di essere capitato in un luogo comune. Qualcosa del tipo i negri hanno tutti il cazzo grosso o le donne incinte sono più arrapate. Solo che a lui era capitato lo stereotipo più pericoloso.
- Non posso, soffro di mal di schiena.
Lo scimmione che lo fissava doveva pesare almeno 180 chili e, considerando tutto quel pelo bagnato che aveva addosso in quel momento, i 200 non dovevano essere lontani.
- Raccogli il sapone o il mal di schiena sarà l’ultimo dei tuoi problemi.
Si calò cercando di non dare le spalle a King Kong e il prezzo da pagare fu un incontro ravvicinato con il cazzo in tiro del tipo, ma almeno il suo portamerda era rimasto integro.
- Grazie - disse King Kong quando prese dalla sua mano la saponetta.
In quel momento capì che non tutti i luoghi comuni erano veri e tirò un sospiro di sollievo.
- Visto che sei stato così bravo a raccogliere la saponetta – ora una piccola folla si era riunita intorno ai due – prova a raccogliere il sapone liquido, con le manine
King Kong svuotò un intero flacone sul piatto della doccia.
La folla gli si strinse intorno e non ebbe scelta. Rimpianse solo che un po’ di sapone non fosse finito sul suo terzocchio posteriore.

6

Contava le macchie di sangue di mosca sul soffitto per non pensare a quello che gli era capitato nelle docce.
- Fa male? – era la voce del suo compagno di cella che arrivava da una dimensione lontana nello spazio e nel tempo.
- Non quanto quello che farò io a loro. Altro che porgere l’altra guancia! Vedranno di che…
- Cos’è ‘sta storia?
- Non venirmi a dire che non devo vendicarmi!
- Fai quello che cazzo vuoi. Intendo, cos’è ‘sta storia dell’altra guancia.
- E’ una cosa che è scritta nella Bibbia.
- Il libro dell’altra volta?
- Sì. C’è sto tizio di nome Gesù che dopo aver vissuto trent’anni con la mamma, non ce l’ha fa più e va fuori di brocca, così inizia a girare per raccontare delle storie.
- Ma è il figlio dei due tizi della mela?
- No, questo è nato molto tempo dopo.
- Ah.
- Beh, Gesù diceva che se uno ti dà uno schiaffo tu devi porgere l’altra guancia.
- Beh, a te andata bene.
- Perché?
- Non hai un altro buco.
- Ma vaffanculo!
- Dai dimmi un’altra storia di Gesù che poi mi metto a dormire.
- Vediamo un po’. Ah, ecco! Una volta Gesù andò con la mamma a un matrimonio. Sai come sono queste feste, bevi tu che bevo io… il vino finì.
- Merda! Passarono alla birra?
- Mai mischiare vino e birra, scemo. Gesù si fece portare dell’acqua e la trasformò in vino. E giù tutti a bere di nuovo…

7

La luce al neon illuminava in modo algido lo stanzone affollato di gente intenta a mangiare o a far la fila dinnanzi al bancone dei cuochi.
- ‘Sta roba è sempre poca – disse un detenuto.
Tutti quanti acconsentirono chi con un sì, chi con un cenno del capo, chi con una bestemmia.
- Ci vorrebbe quel Gesù a fare la moltiplicazione del cibo – disse un altro.
- Questa non la so – disse il detenuto che qualche momento prima si lamentava della scarsità del cibo.
Il suo compagno di cella mormorò: - Dai raccontagliela.
Sempre più gente veniva da lui in cerca di storie. Le voci riguardanti le sue capacità di raccontarle s’erano diffuse nel penitenziario più velocemente di quanto si espanda un’epidemia di morbillo in una colonia estiva per bambini. Il più delle volte era ben lieto di farlo poiché difficilmente i detenuti venivano a mani vuote. Perlopiù i doni erano stecche di sigarette, cioccolata o vivande di altro genere. Poi c’erano volte come questa in cui doveva raccontarle gratis, e questo non era bene.
Non erano mancati neanche momenti di terrore puro, come quando si era ritrovato faccia a faccia con King Kong che pretendeva una storia. Lui gliel’avrebbe raccontata anche gratis, ma questi non si era presentato a mani vuote: aveva come dono un flacone di sapone liquido. Un bene che allo scimmione non mancava mai.
E lui pian piano era prima diventato il tizio che raccontava le storie di Gesù, poi il tizio di Gesù e infine semplicemente Gesù.
Si schiarì la voce e inizio: - I fatti sono più o meno questi: Gesù era via di casa. Arrivò su una spiaggia dove c’era tanta gente affamata.
- Come qui! – esclamò un tipo.
- Stai zitto stronzo, e fallo parlare.
- Questi tipi sulla spiaggia aspettavano che i pescatori tornassero con il pesce. Ma il mare era più vuoto del cervello di un secondino.
Risate ovunque.
- Allora Gesù disse: “Portatemi quelle ceste con il pane e il pesce, anche se è poco per sfamare tutti”.
Nel grande salone regnava il silenzio. Tutti lo circondavano con attenzione mentre i secondini lasciavano stare, ormai erano abituati a quelle scene.
- Portarono le ceste così come Gesù aveva chiesto e lui fece un miracolo, moltiplicando il pane e il pesce che diventarono sufficienti per sfamare tutti.
Una voce dal fondo della sala chiese: - Ma trasformò l’acqua in vino anche ‘sta volta?
Lui rispose: - No, era giorno di lavoro e i pescatori dovevano tornare in barca. Era vietato guidare dopo aver bevuto.
- Giusto, che cazzo di domande fai? – disse un detenuto mentre colpiva l’uomo che aveva sollevato l’interrogativo.
La sirena suonò e tutti tornarono nelle proprie celle.

8

Sarebbe stata considerata una stanza immensa in qualsiasi immobile. Ma in un edificio in cui più del novanta percento degli alloggi erano grandi poco più di tre metri per tre, l’ufficio del direttore del carcere spiccava come una mosca su una montagna di panna.
Sulla parete situata dietro la scrivania campeggiava la foto di Martin Kneiz, l’Ideologo. L’uomo che per primo aveva sentenziato che la fantasia è contagiosa. La fantasia è l’agente primo del disordine. Bisognava spegnerla per mantenere l’ordine.
Deriso dagli intellettuali. Accolto con interesse dalle classi politiche.
Le sue idee in trecento anni, ormai, si erano ben consolidate. Dai paesi africani, i primi ad accogliere le sue teorie, sino agli Stati Uniti, ultimo baluardo a cedere. La classe politica, che aveva individuato nelle teorie kneiziane uno strumento per il mantenimento dell’ordine e dello status quo, aveva dovuto lottare non poco con gli imprenditori statunitensi che vedevano nell’assioma “fantasia uguale innovazione uguale nuovi profitti” la propria ragion d’essere. Ma alla fine anche loro avevano ceduto. A persuaderli furono i fatti. Così come aveva previsto Kneiz, l’ostracismo nei confronti della fantasia aveva portato a un aumento delle nascite, il che equivaleva a maggior numero di manodopera disponibile e a una crescita della domanda di beni. La gente avrebbe lavorato sodo per comprarsi tutto ciò che produceva.
La classe operaia sarebbe stata più che mansueta, perché la mancanza di immaginazione avrebbe progressivamente causato un calo delle ambizioni personali.
I ben informati sostenevano che in una conversazione personale l’Ideologo avesse affermato: “Se non posso immaginarmi migliore, non posso desiderare di diventarlo. E sopratutto non farò nulla per diventarlo”.
Gli agenti di diffusione della fantasia furono individuati abbastanza facilmente: televisione, cinema e libri.
Televisione e cinema furono definiti fattori secondari di diffusione. Chi osservava uno spettacolo veniva stimolato in modo minore. Tecnicamente interveniva la fantasia del regista a stemperare il processo di “fantasticazione” dello spettatore.
I libri furono dichiarati fattori di diffusione primari. Chi leggeva un libro elaborava la fantasia dello scrittore, adeguandola alle proprie esperienze e alle proprie attitudini, innestando un nuovo processo creativo.
Non furono banditi Tv, cinema e libri. Ma solo le opere fantastiche. I testi divulgativi e i documentari venivano prodotti. Però una statistica aveva dimostrato come l’eliminazione dei testi fantastici avesse portato a un calo di interesse anche nei confronti delle opere scientifiche.
Si leggeva sempre meno e si studiava sempre meno. Il mondo ormai era cristallizzato sui livelli tecnologici di duecento anni prima.
Kneiz non lottò contro le religioni. Aveva affermato: “La religione si sostiene su due pilastri: ambizione e speranza. Ambizione che di là la propria situazione possa migliorare. Speranza che di là la propria situazione possa migliorare. Togliete la fantasia al popolo e questo non crederà più in dio”.
E così era stato. L’editto con il quale furono proibiti i testi religiosi, una cinquantina d’anni dopo la morte di Kneiz, era stato un atto dovuto. L’ultimo colpo alle morenti chiese. L’ultima pala di terra sulla bara.
Il mondo era diventato un posto tranquillo. Non c’erano più rivoluzioni. Non c’erano più lotte di classe. Il numero dei detenuti nelle carceri era sceso ben al disotto dei livelli di delinquenza frizionale.
Era stato un successo.
L’uomo vestito in grigio che in quel momento fissava il direttore, tutto questo lo sapeva, poiché lui lavorava per perpetuarlo.
- Nel suo carcere c’è un fattore di disturbo.
- Lo metteremo in cella di isolamento. Gli passerà la voglia di raccontare storie!
- Spero che non sottovaluti la cosa, noi del ministero siamo infastiditi.
- Anche io lo sono! In dieci anni di carriera non mi era mai capitato un raccontastorie. Ma stia certo che lo addrizzeremo!
- È un tipo pericoloso quel detenuto. È stato trovato con ben tre copie dello stesso libro! Fortunatamente siamo riusciti a risalire alla stamperia clandestina. Il problema non sussiste più.
- È scandaloso che tra il popolo ci sia ancora gente che abbia voglia di leggere!
- Dobbiamo garantire la cultura alla popolazione. Dobbiamo scoraggiare la fantasia, non la conoscenza. Non dimentichi mai questo.
- Sì. Sì. Certo - bofonchiò il direttore imbarazzato.
- In ogni caso, abbiamo aumentato la quantità di oppio in circolazione, questo dovrebbe aiutarci.
L’idea dell’oppio non era stata di Martin Kneiz, ma del suo delfino Anadi Ben Alif. Le droghe leggere avrebbero intontito il volgo, diminuendo ulteriormente le ambizioni personali.
E a chi sosteneva che l’uso delle droghe avrebbe innescato dei processi di “fantasticazione” lui rispondeva con la sua frase più celebre: “Date del concime a un terreno sterile e riceverete in cambio piantagioni di sterilità”. La sterilizzazione era stata fatta da Kneiz, a lui era toccata la concimazione.

9

La cella era buia. La cella non aveva correnti d’aria. La cella era il nulla.
Ormai si trovava in isolamento da quaranta giorni quando la porta si aprì. La luce che filtrava alle spalle del nuovo arrivato gli trafisse gli occhi.
Sentì la scodella che gli veniva passata. La prese. Mangiò.
- Oggi è l’ultimo giorno. Domani esci da qui – la mano del secondino gli accarezzò dolcemente i capelli luridi. – Domani potrai mangiare alla tavola del direttore, ti vuole parlare.
- Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio – fu l’unica cosa che riuscì a rispondere prima di riprendere a mangiare.
Il secondino lo guardò e gli disse: - Non capisci che la fantasia ti ha causato tutto questo? Ti ha forse reso la permanenza in cella migliore? Ti ha forse fatto vedere la luce? Ti ha forse fatto diventare bianche queste pareti? Ti ha forse reso questo cibo più gustoso? Smettila di fantasticare e la tua vita sarà più semplice
- Non tenterai il Signore Dio tuo.
Questa volta la mano del secondino fu meno dolce. Lo prese per il colletto e lo trascinò fuori dal pertugio in cui si trovava.
Gli occhi lacrimavano a causa della luce. Cercò di coprirseli, ma il poliziotto glielo impedì ammanettandogli le mani dietro la schiena.
Lo condusse alla finestra più vicina e gli ordinò di guardare fuori.
Attraverso lo strato di lacrime riuscì a intuire la presenza della valle che circondava il carcere.
Il secondino spalancò la finestra e il cinguettio esterno giunse attraverso le sbarre sino alle sue orecchie.
- Tutte queste cose saranno tue se ti prostrerai al direttore e rinuncerai alle tue storie.
- Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo presterai culto.
- Ma vaffanculo - disse la guardia e lo colpì forte con un pugno. – Portatelo nella sua cella – ordinò alle altre guardie.
Piegato su stesso, con le mani sul naso, si domandava perché mai non avesse accettato l’offerta del direttore.

10

Le pulsazioni del naso rotto dettavano i tempi dei suoi pensieri. Steso nella sua cella sulla sua vecchia brandina si chiedeva ancora perché non avesse detto di sì. Probabilmente la fame, probabilmente il lungo isolamento, sicuramente la propria stronzagine, l’avevano spinto a ripetere quei versi della Bibbia. Riflettendo si accese in lui la speranza che il secondino non avesse intuito che le sue frasi erano tratte dalle Sacre Scritture. Non poteva averlo capito, non aveva mai letto quel libro e probabilmente neanche era al corrente della sua esistenza.
Però, e c’era un però, il suo naso continuava a pulsare. E quello metteva in chiaro che, Bibbia non Bibbia, la guardia aveva inteso che il suo era un netto rifiuto.
Allora decise. Avrebbe smesso di raccontare storie, lo avrebbe fatto per davvero. Non potevano non notare, i responsabili delle carceri, che lui aveva finito una volta per tutte. E se non era questa una manifestazione di buona volontà, cosa poteva esserlo?
Magari un giorno avrebbe chiesto un incontro con il direttore e avrebbe patteggiato la propria scarcerazione per buona condotta. Sì, avrebbe fatto così. Sarebbe andato tutto liscio.
Si sentiva decisamente meglio quando le porte della cella si aprirono per permettere ai due detenuti di andare a pranzare.


11

Giunse nel refettorio su una sedia a rotelle. La lunga permanenza in isolamento gli aveva anchilosato gli arti. Non sapeva come avesse fatto il suo compagno di cella a procurasene una, ma ora era lì alle sue spalle che la spingeva.
Fu proprio lo sferragliare della sedia ad avvisare gli altri commensali del suo arrivo. Pian piano, quelli seduti al tavolo alzarono la testa dal proprio piatto, quelli in fila si girarono verso di lui.
Quel giorno c’era dell’insalata nel menù, perché, quando si sentì il volto bagnato e raccolse ciò che l’aveva colpito, vide che era una grande foglia.
Con un gesto nervoso la lanciò via e l’insalata sbatté su un secondino.
Il boato nel salone fu clamoroso. Tutti quanti i detenuti iniziarono a sventolare una foglia e a gridare il nome Gesù.
Qualcuno pensò anche bene di tirargliela contro. Lui seduto sulla sedia a rotelle agitava le mani per far cessare il lancio. Ma non fu cosa. I detenuti intesero quel gesto come un invito a continuare.
Cercò di alzarsi dalla sedia per andare dai secondini a spiegare che non era assolutamente sua intenzione colpire il loro collega. Le sue gambe, dopo la lunga inattività, non risposero al suo comando e così fu costretto a rimanere seduto.
Arrivarono i rinforzi e le manifestazioni di giubilo furono sedate.
Quando fu circondato da cinque secondini fu chiaro che quel giorno avrebbe saltato il pranzo. Ma quello era l’ultimo dei suoi problemi.

12

- Non mi piace come sta gestendo la situazione.
Il direttore guardò con aria smarrita l’uomo del ministero al quale, poco più d’un mese prima, aveva garantito che la situazione era sotto controllo.
- Lo giustiziamo - decise di giocarsi subito la sua carta migliore per mettere in chiaro una volta per tutte che quello era il suo carcere e che nessuno meglio di lui sapeva come risolvere le grane.
- Ieri mi ha detto che nessuno era pronto a testimoniare che il lancio dell’insalata era stato un atto volontario e che soprattutto era mirato a far esplodere un rivolta.
Con occhi furbi il direttore disse: - Lei non ha idea cosa sarebbero disposti a testimoniare i detenuti per trenta giorni di libertà.
- Bene, bene. Voglio una bella esecuzione. Deve essere di monito a tutti.
- Non si preoccupi, ho preparato tutto al meglio. Nessuno avrà più il coraggio di andare in giro a raccontare delle storie nel mio carcere.

13

L’uomo il cui nome era perduto e che tutti ormai chiamavano Gesù fu condotto su una delle torrette di guardia. Qui fu legato a delle catene per i piedi e fu calato giù sino a metà dell’altezza della torre.
Il sole picchiava sulla sua pelle. Il sudore gli scivolava sulle labbra e il sapore salato gli entrava in bocca.
Il sangue pian piano giungeva alla sua testa e l’ossigeno iniziava a mancare. Scene del Vecchio e Nuovo Testamento si alternavano nella sua mente annebbiata. L’ultima fu quella di San Paolo a testa in giù.


14

Nessuno in quel carcere raccontò più storie.

15

Metà dei suoi giorni di permesso erano volati via. Stancamente, ma erano andati. La ricordava diversa la libertà. La ricordava più gustosa.
Sin a quel punto, la sua sapeva di umori vaginali e di luppolo. Non un granché, considerando che per entrambi doveva pagare.
Il carcere gli mancava. Era quella la realtà in cui aveva passato gli ultimi ventisei anni della sua vita.
Come diceva Gesù? Non desiderare la donna d’altri. Che diamine, quella che lui aveva violentato era così brutta che non se l’era presa nessuno, eppure gli avevano dato l’ergastolo. Boh, almeno il Dio di Gesù non avrebbe avuto nulla da ridire nei suoi confronti: non aveva desiderato la passera altrui.
Altri quindici giorni e sarebbe tornato alla sua vita in carcere. Certo, un altro penitenziario. Per motivi di sicurezza non poteva più tornare là. Era chiaro che era stato lui a dare la testimonianza, era l’unico in permesso il giorno dell’esecuzione.
A dirla tutta, era contento di non aver visto Gesù morire e, per quanto ne sapeva lui, poteva non essere neppure morto. Magari qualcuno l’aveva fatto scappare via prima dell’esecuzione. O magari era accaduta la “resurrezione”. Lui la chiamava così.
Sì, doveva essere andata così, lui non aveva mai desiderato la passera altrui e mai ammazzato.
Una era zitella e l’altro era risorto. Lui con Dio non aveva nessun debito. Quando sarebbe morto, sarebbe andato in Paradiso, e cazzo se non lo meritava, dopo una vita d’inferno carcerario!
Lui non aveva tradito. No, no non aveva mandato al macello il suo compagno di cella, lui l’aveva mandato a resuscitare.
Tutti dovevano saperlo. Tutti dovevano sapere che lui era ancora in grazia di Dio. Lui avrebbe lavorato per il Signore e un giorno si sarebbe seduto alla sua destra.
- Amico, hai una penna e un foglio? – gridò al barman.
Questi stancamente gli lanciò quello che aveva chiesto.
Avrebbe iniziato a scrivere quella della mela. Era la prima che aveva sentito ed era rimasta la sua preferita.
Scrisse per un ora buona con grafia incerta, ma era pur sempre soddisfatto.
Sarebbe evaso. Da quando qualcuno non evadeva da un carcere? Da tanto, dai tempi in cui gli uomini potevano ancora desiderare la libertà e ideare un piano.
Nessuno l’avrebbe trovato. Nessuno era pronto a un’evasione.
Lasciò sul bancone le monete del conto e si diresse alla porta.
- Ehi, amico, la mia penna!
- Non chiamarmi amico. Chiamami fratello. Fratello Pietro.
Detto questo lanciò la biro al barman e sparì nella strada.

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