Il tossico che tossica e rosica @ 28 September 2008 06:10 PM
Ma ora tutto è cambiato, babbo natale è morto, dio è una farsa, e la vita ha perso quel sapore che la rendeva così succosa ed attraente. La mediocrità è una soluzione, un diabolico rimedio che gli stringe i genitali così forte da fargli male. L’uomo cammina nella notte, passeggia per vicoli bui sperando di incontrare affinità ed empatia. La mente è strafatta, l’occhio è ancora vivo, i suoi pensieri confusi in un sogno solitario. Cazzo!!, ha bisogno di fottuto amore, necessita di un cristiano sentimento che lo deragli da quella via tenebrosa, dall’oscurità del demonio che si impossessa del suo corpo, delle mani e del cervello ogni volta che s’inietta quella schifezza nelle vene. La legalità lo rassicura, non teme la sbirrianza, desidera la morte e sa che non la troverà. L’etanolo, ne bastano pochi cc che tutto appare migliore, tutto ritorna normale, così, proprio come dovrebbe essere. Egli si ferma avvolto dalla nebbia, mentre spiriti infuriati giocano con lui e lo confondono. Si siede a terra, stappa con violenza il liquore che tiene nella tasca del giubbotto, estrae la siringa che in un attimo è ricolma, e comincia a ravanarsi il braccio alla ricerca d’una vena. Il laccio emostatico stringe ma non fa male, l’ago lo impressiona ma la mediocrità è peggio. Finalmente riesce a farsi, ed il mondo notturno di cui è il padrone si riaccende di colori e serenità. Gli spiriti non gli sono più ostili, adesso parlano e lo rassicurano, lo guidano nella notte e lo proteggono dalle paure e dalla severità della gente. L’uomo, il giovane, lo squilibrato, l’asociale, il tossico, il delinquente, il pazzo, ora può ritornare nelle vie illuminate da lampioni sfocati, assaporare la socialità così come gli è imposta, continuare a farfugliare frasi insensate in bar insulsi di inutili città. La serata criminale ha inizio, una frenetica ricerca di gnomi, fate e folletti da molestare, un desiderio immondo di schifezze e vite da stroncare. La baracca è dirottata su rotte tropicali, luci stravaganti che vanno dal verde al rosa al blu. I cocktail sgorgano a fiumi e le fiche viziose ne tracannano a litri, mostrano all’uomo una mercanzia difficile da ignorare, con tette, culi e gambe che ecciterebbero il peggiore dei culattoni. E’ fatto!, Ma fatto, fatto, fatto, è fatto!, la lussuria gli intrappola la psiche ammazzando le difese di quell’ego instabile sorretto da stampelle in carton gesso di color rosaceo. Annusa il profumo del sesso, desidera un’altra endovena, ma la libido vince e si lancia su una tipa grassona dal seno prosperoso che gli ricorda sua madre, l’allattamento e robe del genere, del tipo bla, bla e bla. Gli spiriti cantano armoniosi, intonano melodie che lo accarezzano ed incitano ad infilare membri in orifizi oscuri dai contorni illuminanti. Ma la sfiga lo guida nei gesti, nelle frasi e parole, un’eterna richiesta di baci che appare dolcezza ma che dolcezza non è. L’occhio s’è spento, morto, lo sguardo fisso nel vuoto ed una faccia che sta mutando in un muso di pesce triglioso che appare lesso ed in effetti lo è. Soldatini di piombo gli marciano nel cervello, pestano la materia grigia come fosse merda, lo rendono impacciato e goffo come un ragazzino alle prese con la sua prima sega ed una sborrata incerta. La giovane sorride, un sorriso per niente malizioso, malinconico, triste, piuttosto, una smorfia femminile che lo fa precipitare in un turbinio di insicurezza, imbarazzo e rossore. Gli spiriti si dimenano, inveiscono, i loro volti mostruosi ora spaventano ed agitano l’uomo. Un dolore gagliardo sale dalle viscere, il sangue ribolle e si allontana dal capo per depositarsi nei piedi, una confusione generale che si conclude con una bestemmia mal detta, un laido porcone ed una fuga fuggiasca nell’oscurità della notte. La corsa è frenetica, il giubbotto lo riscalda, il vento lo schiaffeggia donandogli una rara sensazione di benessere, un ripiglio provvisorio che fa tacere i sensi, cancella l’imbarazzo e quel desiderio di farsi che gli pervade l’animo. Ma un automatismo innato lo ha già condotto nei vicoli della city, tra miagolii di gatti dai testicoli tronfi, barboni dormienti e ratti alla continua ricerca di qualcosa da rosicchiare. Finalmente può fermarsi, l’affanno pareva ucciderlo, un’agitazione bronchiale che lo fa tossire come un cane moribondo con lo stomaco traboccante di pelo. S’accende una sigaretta che all’inizio fa male. Ora è calmo, sicuro, glaciale come un killer che s’accinge a sgozzare la sua vittima. Estrae la spada, la bozza dell’etanolo, un sorriso inconscio gli si stampa in faccia e dice tutto. Un amplesso vigoroso e profondo lo avvinghia stretto e gli ovatta il cranio, meglio che scopare, pensa, intanto in bocca un sapore rivoltante d’uva fermentata ed andata a male. Fanculo la gente, fanculo la vita, fanculo la fregna, si ripete mentre viaggia su nuvole d’argento sopra un mare color pesca. Osserva i pesci nuotare, parla coi gabbiani che ridono sguaiatamente ad ogni sua battuta e barzelletta, dialoga sereno con quel dio falso che da sempre lo ha schernito. Ora tutto è tornato migliore, normale, così, come dovrebbe essere. Adesso anche dio è un burlone, un asociale, un delinquente, un tossico, un ubriacone, uno sballato, un pazzo, un giovane, un uomo, ma forse lo è sempre stato. Quel dio senza nome che balla e ride, quel dio senza arte né parte che gioca a football con ragazzini mosci dai denti marci e sbronzi e ubriachi, quel dio instabile e psicolabile che tocca bambini ritardati, ora è savio di vino e birra, satollo di sorrisi ammiccanti di donne nude e compiacenti su spiagge deserte d’isole tropicali. Egli è divenuto dio, un suo figlio balordo creatore di cose fittizie per gentaglia qualunque dai pensieri insipidi, il padrone del cielo e dei colori sgargianti, il dominatore di quei sogni che lo rendono bambino, scopatore e fruitore di malizie deliziose in stagni traboccanti d’oppio e fragole. L’altro ieri era un bel giorno, ieri un po’ meno, oggi fa proprio schifo. L’uomo è disteso al suolo, una schiuma biancastra alla bocca e degli occhi che girano su stessi, roteano incontrollati quasi a volersi incrociare. I pensieri gridano al risveglio, indolenziti, mentre una luce ammaliante appare all’orizzonte e scoreggia forsennata alla ricerca d’attenzione. Il gelido calore della notte svanisce in un’alba che ogni volta appare unica e lassativa, le stelle si dissolvono ed una sagoma stanca e sporca si rialza barcollante. Il lupo solitario ritorna al suo ovile, veloce, entra in casa e s’accascia nella tiepida bara posta al centro della camera. “Sono una poesia d’amore che parla di morte e ciancia di cose sempre sapute e mai dette”, pensa confuso masturbandosi compulsivamente prima di ammosciarsi flaccido tra grida, sorrisi e facce scialbe di mostri sconosciuti. Una scimmia saltella per la stanza, è sbronza, perversa, gli sussurra all’orecchio favole sconce che parlano di gnomi, gente ubriaca e donne che girano nude per centri commerciali con cazzi di gomma infilati nel culo. Egli cerca di sbarazzarsene, agita oggetti che appaiono contundenti, ferisce, e se ne resta sdraiato in attesa di un giudizio di vino. L’ultima, l’ultima pera che ti fa dormir tranquillo, l’ennesima sfattanza che con arroganza si fa strada tra le fessure insidiose della volontà umana. Ed ecco che Dioniso appare in tutto il suo splendore, carico d’alcool ed angoscia, lo prende in braccio e lo conduce in un violaceo paradiso psichedelico fatto d’uva etilica, dove satiri gioiosi suonano mandolini scordati e giocano felici con l’amore di ninfe vergini e sboccate. L’uomo, meravigliato da tale meraviglia, si guarda attorno ed osserva estasiato la bellezza di quelle creature celestiali, assapora con ingordigia quegli acini che offuscano le idee e raddrizzano i pensieri boccone dopo boccone. Vorrebbe che tutto fosse reale, far parte anch’egli di quel mondo così perfetto e giocare con l’amore di qualcuno. Ma riconosce l’onirica finzione di ciò che lo circonda, soffre dell’irraggiungibile felicità eterna che mai riuscirà a sfiorare, e riapre finalmente gli occhi perdendosi nell’infinita monotonia della stanza. La scimmia ferita è lì, lo fissa immobile, con gli occhi sgranati e le pupille dilatate, impugna un fucile carico d’odio che non aspetta altro d’essere usato. Uno scoppio, un rumoroso frastuono e la fine di una vita che s’accinge a spegnersi. Rimangono pochi istanti in cui l’uomo scopre d’aver vinto la mediocrità, la vecchia arma fumante stretta tra le mani ed un buco nel petto dal quale non esce una goccia di sangue. Il cuore ha cessato di battere, respirare è sempre più difficile, impossibile, un uomo ha smesso d’esistere ed un’anima si è rifugiata nel nulla. Sulla sua tomba non vi sarà scritta, non un fiore, solo la consapevolezza di un uomo, uno squilibrato, un asociale, un tossico, un delinquente ed un pazzo, che è vissuto e finalmente è ritornato a vivere in vie illuminate da lampioni sfocati, a farfugliare frasi insensate accudito tra le braccia vellutate di angeli biondi dai capelli di seta, angeli che intonano canti popolari sorseggiando del vino e cianciando di cose sempre sapute e mai dette, FINE.
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