Antonella Irlandese @ 30 January 2010 02:20 PM

Polmoni, stomaco, cuore, fegato, intestino, tutto va bene. L’ascolto di ogni essere. Vedo e leggo libri corretti correttamente e scritti ugualmente. Allucinazione collettiva dal denaro derivante dalla stesura di un buon libro. Pur sempre un libro, però, ossia traccia d’influenza ascendente nella vita d’ognuno.
Mi specchio al bagliore di quella finestra in fondo al corridoio e mi abbindolo, talvolta fermandomi alla parete per scrivere. A notar di questa terribile storia.
Storia d’amore, sempre d’amore, come le mie. Aneddoti personali come quelli che rammendo visitando vecchi ricordi in nome di quei due braccialetti di metallo che indosso sempre al polso sinistro.
Sinistro come lo è sempre un gallo da combattimento. Mi fugge il tempo, come l’Oscar Wilde bellezza. Spiacevolezza dell’esser belli di certo non affascinanti. Tutto si dissolve ma di tutto necessitiamo all’infinita ripetizione, senza conoscere la nostra finita esistenza terrena.
Volto la pagina e mi trovo al lastrico. Un lastrico sensoriale amatoriale.
L’effetto ispiratore dell’alcol è brevilineo e impreciso ma incomprensibilmente ammagliante.
Ora basta; tutto è calmo, tutto è normale e così deve essere. L’acerrimo rispetto delle tradizioni deve essere garantito se vogliamo una assicurata e piacevole vita.
Qualsiasi suora, un giorno, non dovrà più sentirsi come la règia ed esclusiva portatrice d’amore di Sua Eccellenza. Egli un giorno, e senza indiscrezione, avvicinerà il proprio cuscino a quella dell’amata, perché senza amore, non si può vivere. Certo, però, un giorno, ma non ora, perché fino a quando ci sarà Lui, niente cambierà. Le suore saranno ancora le esclusive portatrici di amore in canonica, e i teologi rimarranno troppo teologi per potersi avvicinare ad un popolo tradizione culturale più fetido nei costumi.
La musica dallo stereo continuava a brindare e a sfogliare le sue riservate note totalmente disinteressate al mio stato d’animo di melodica perplessità all’incombente arrivo di Antonella. Mi ritrovavo piombato nella mia poco propositiva vita di provincia dopo un periodo di lavoro e studio a Cork, nel sud dell’Irlanda, e questo fatto mi scombussolava alquanto.
Solo la notte prima era l’ora del gaelico e dell’invito a stufetta, la facemmo accomodare in mezzo a noi. Sperduta, si adagiò affabilmente sulle tenere ginocchia di Michele. Poi, con l’allungarsi dei suoi arti inferiori, sulle mie.
Avevamo conosciuto Antonella durante una sera d’inverno irlandese, a Cork, in compagnia di una compagna di studi. Di certo non suoi, che a detta di lei un libro non sapeva che farsene se non lasciarlo a marcire e ingiallire a bordo di una credenza qualsiasi per poi un giorno sfogliarlo velocemente. Di questa sua ignoranza se ne faceva aria, e per questo, mi stava molto simpatica.
Poco alta, grassoccia, e di un biondo poco biondo e di un riccio poco riccio, un naso da negra da strapazzare e con delle ginocchia tozze tanto basse da scambiarle con le caviglie. Teneva capelli raccolti all’indietro da un cerchietto di poco conto nero chiazzato di marrone. Dall’abbigliamento non si notava la sua presenza nella stanza, serviva piatti italiani in un ristorantino tipico italiano e così dell’inglese non aveva scoperto un accidenti. Le sue labbra incarnavano ciò che dentro di ella covava: un’irrefrenabile passione per il consumo della conoscenza.
Non della coscienza, di certo quella no. La rividi pochi giorni dopo per mano con un tizio irlandese, anche lui uno di poco conto; spalle da rugbista e alone di mangiatore di cipolle impanate fuoriuscenti dai corposi e grassi brufoli aggrappati su quel tozzo collo muscoloso che si ritrovava. Un tizio che tromba dai capelli unti dall’umidità del clima irlandese solo perché autoctono e le erasmus, almeno un autoctono, se lo fanno sempre.
Alcune settimane seguenti la vidi baciarsi animatamente in un locale di teenager; lui italiano, ovvio altre lingue non spiaccicava, che abitava da poco al piano di sotto al nostro; di Torino e in Irlanda grazie ad una Borsa di Studio ricevuta dalla cassiera prima di pagare. –Solo una?- si e della misura più piccola, conviene.
Porcellosa, no! di porcellana era la sua mente, sembrava non possedere gusti fisici o preferenze amorose, solo sessuali ma dai suoi racconti serali almeno un paio di volte anche quelli se n’erano andati a farsi benedire!
Capimmo di essere dirimpettai circa un mese dopo il nostro contemporaneo arrivo. Io e Michele possedevamo un mazzo di chiavi; Michele se n’era andato a bere con chi non lo so e io me ne rimasi fuori sconosciuto dal mio guscio di casa. Bisogno impellente di defecare, lei se ne usciva per andare a servire piatti tipici italiani così a quel punto chiesi il suo permesso di sfornare pagnotte tipiche nel suo bagno..
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<>sbatto la porta.
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<>se ne va, richiude. No, richiudo e se ne va. Un due tre pagnotte e il forno è chiuso, chiave nei miei pantaloni e me ne torno a zonzo, tanto Michele non c’è. Michele è dal ferramenta perché la serratura di casa è rotta, dunque la porta di casa rimarrà aperta. Io me ne vado a zonzo e a zonzo intravedo Michele dal ferramenta e lo incastro col mio racconto:<><><><>.
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Insomma eravamo talmente ubriachi..ubriaco, che la vista non mi bastava e la mente non ne seguiva il passo dopo il passo. Michele mi sorreggeva e mi proteggeva dalle auto a fianco sulla strada. Arrivai in casa, mi spogliai nudo e mi stesi in bagno in segno di sconfitta. “il miglior calzino ce l’hai tu..”Presi sonno ma più che altro persi i sensi e Michele dovette venire ad alzarmi e portarmi al letto. Era proprio l’ultima sconfitta di una lunga battaglia.
<> avvicinò la sedia al letto, mi prese la mano ancora appiccicosa e sporca d’alcol e vomito, mi baciava le dita. Voltai meccanicamente prima il collo poi il capo infine lo sguardo assieme al volto. <>mi issai ritto in piedi ancora completamente nudo e vomitato sull’addome. <> Ma lei era porcellosa, anzi di porcellana, come la sua mente. Ritto. Suck. E continuava ininterrottamente.
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